Quel pugno chiuso

La mia esperienza in Kenya si è svolta nell’agosto 2014, tra l’orfanotrofio Shalom home, il Dispensario st. Lukas di Kiamuri e dintorni. Durante la permanenza a Kiamuri ho avuto modo di inoltrarmi fra le popolazioni che vivono nella zona, sparse nella savana, in un ambiente dove l’Africa è ancora pura ed incontaminata. La prima escursione è stata programmata per raggiungere la fonte dell’acquedotto sul monte dei Serpenti, così nominato dagli abitanti. Sotto la guida attenta di David, responsabile incaricato dall’associazione per la manutenzione dell’acquedotto, e la compagnia di padre Enrico lungo il sentiero ho avuto modo di visitare diverse comunità, incontrare molte persone fra cui tanti bambini: incontri molto piacevoli e nello stesso tempo “forti”, catapultato in un mondo parallelo al nostro, dove le persone hanno ben poco: una umile capanna di fango e paglia, due caprette, qualche gallina, un po’ di terra da coltivare a cereali e, nonostante tutto, tanti sorrisi, tanti benvenuto e tanti grazie per una caramella donata.

quel pugno chiuso

Ricordo come una sera padre Enrico e suora Florienza mi chiesero se volessi andare con loro a far visita ad una comunità dove avrebbero recitato il rosario. La comunità si trovava a 30-40 minuti circa dal dispensario, logicamente a piedi. Fra sentieri e strade impolverate, gli incontri furono innumerevoli, in un paesaggio dove la pace è penetrante. Lungo il sentiero, non molto lontano dalla nostra meta, incontrai un bambino e una bambina di circa 6 e 8 anni. Avevano una divisa di scuola e probabilmente stavano facendo ritorno alle loro famiglie. Padre Enrico e suor Florenzia si trovavano circa 200 metri davanti a me quando li incontrai. Inizialmente mi guardarono un po’ perplessi: era sicuramente strano vedere un bianco su quei sentieri o forse non avevano mai visto un volto simile, bianco appunto. Li salutai, mentre loro erano come impietriti. Mi chinai e diedi loro una caramella ciascuno. Si guardarono negli occhi e le presero, nell’incredulità più assoluta. Li salutai e continuai il mio percorso, mentre i bimbi fermi e attoniti mi osservavano. Nel mentre mi si avvicinò un vecchietto in senso opposto. Nell’incrociarci, si avvicinò e mi pose la propria mano a pugno chiuso, senza dire nulla. Poi aprì la mia mano e mi diede un sasso e continuò il suo cammino.
Spiegare quello che ho provato in quegli istanti è difficile: è stata un’esperienza unica. Una sensazione così non l’avevo ancora mai provata: è una felicità intensa che ti penetra il cuore, accompagnata da un nodo alla gola. Pur non avendo nulla, il vecchietto, qualcosa voleva regalarmi. Si è trattato di un gesto umile, che mi ha toccato per la sua semplicità e i sui immensi valori, che la nostra dimensione occidentale, dove la bramosità di avere e di apparire ci ha assorbiti, facendoci dimenticare il vero significato del “donare”.

Omar Pedrotti